Mafia: per Mannino un’odissea giudiziaria lunga quasi 30 anni

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Confermata dalla Cassazione l’assoluzione dell’ex ministro Calogero Mannino, nello stralcio del processo sullaTrattativa tra Stato e mafia. I giudici della sesta sezione penale di Piazza Cavour hanno dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale di Palermo contro la sentenza pronunciata il 22 luglio del 2019 della Corte d’Appello che aveva scagionato l’ex esponente democristiano dall’accusa di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato. Mannino era stato già assolto in primo grado nel novembre del 2015.

Nelle motivazioni della sentenza di assoluzione i giudici di secondo grado scrivevano che “non è stato affatto dimostrato che Mannino” fosse “finito anch’egli nel mirino della mafia a causa di sue presunte ed indimostrate promesse non mantenute (addirittura, quella del buon esito del primo Maxiprocesso) ma, anzi, al contrario, è piuttosto emerso dalla sua sentenza assolutoria che costui fosse una vittima designata della mafia, proprio a causa della sua specifica azione di contrasto a Cosa nostra quale esponente del governo del 1991, in cui era rientrato dal mese di febbraio di quello stesso anno”. I giudici di secondo grado sottolineavano inoltre come “la tesi della procura” fosse “non solo infondata, ma anche totalmente illogica ed incongruente con la ricostruzione complessiva dei fatti”.

di Elvira Terranova

(AdnKronos) Era il 24 febbraio del 1992 quando Calogero Mannino, l’ex potente ministro democristiano, ricevette un avviso di garanzia con un’accusa pesantissima: concorso esterno in associazione mafiosa. Un terremoto che sconquassò il mondo politico. In quei giorni Mannino era ancora in corsa nel collegio senatoriale di Agrigento con una lista “fai da te” dopo avere lasciato la Democrazia cristiana. C’erano doversi pentiti che accusavano Calogero Mannino. Tra i primi spiccavano i nomi di Gioacchino Schembri e Giuseppe Croce Benvenuto, due sicari di Palma. E poi c’era Leonardo Messina, capo decina della “famiglia” di San Cataldo. Parlano parlavano “delle pericolose amicizie dell’ex ministro”. L’inchiesta era coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, dai magistrati Maria Teresa Principato e Vittorio Teresi, i due sostituti procuratori che indagavano sulla mafia agrigentina. Secondo l’accusa, poi rivelatasi insussistente, Mannino avrebbe stretto un patto con la Mafia per avere voti in cambio di favori. Dopo un periodo di detenzione, durato nove mesi di carcere e tredici di arresti domiciliari, Mannino venne rimesso in libertà nel gennaio del 1997 per scadenza dei termini di custodia cautelare. Nel 2001 Mannino è arrivata la prima assoluzione “perché il fatto non sussiste”. Un’assoluzione che venne impugnata dal pubblico ministero. Nel maggio 2003 è arrivata la condanna emessa dalla Corte d’appello di Palermo. I giudici lo riconobbero colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa fino al 1994, e condannarono Mannino a 5 anni e 4 mesi di reclusione.

Nel 2005 è arrivato l’annullamento della sentenza di condanna da parte della corte di cassazione. I giudici con l’ermellino riscontrarono un difetto di motivazione, rinviando ad altra sezione della corte d’appello. In quella occasione il procuratore generale presso la corte di Cassazione, nel chiedere l’annullamento della sentenza di condanna, disse: “Nella sentenza di condanna di Mannino non c’è nulla. La sentenza torna ossessivamente sugli stessi concetti, ma non c’è nulla che si lasci apprezzare in termini rigorosi e tecnici, nulla che possa valere a sostanziare l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Questa sentenza costituisce un esempio negativo da mostrare agli uditori giudiziari, di come una sentenza non dovrebbe essere mai scritta…”.

Il 22 ottobre 2008, riprendendo la sentenza di primo grado, i giudici della seconda sezione della corte d’appello di Palermo hanno assolto Mannino perché “il fatto non sussiste”. La procura generale di Palermo in seguito ha impugnato l’assoluzione, facendo ricorso in Cassazione. Il 14 gennaio 2010, la corte di cassazione ha assolto definitivamente l’ex ministro democristiano, confermando le tesi contenute nella sentenza d’appello. Ma nel frattempo, Calogero Mannino è stato indagato nell’ambito del procedimento sulla trattativa tra Stato e Mafia, avviata dalla Procura di Palermo. Il 24 luglio 2012 la Procura di Palermo, con il Pm Antonio Ingroia ha chiesto il rinvio a giudizio di Mannino e altri 11 indagati. L’ex ministro era accusato di violenza o minaccia verso un corpo politico dello Stato, così come altri imputati eccellenti come Mario Mori o Giuseppe De Donno. Nel 2012 Mannino ha chiesto e ottenuto di procedere al processo tramite rito abbreviato. E il 4 novembre 2015 il giudice dell’udienza preliminare di Palermo, Marina Petruzzella, lo ha assolto dall’accusa a lui contestata per “non aver commesso il fatto”. Sentenza di assoluzione confermata, in appello, il 22 luglio 2019.

Ma nel febbraio successivo i sostituti procuratori Generali, Giuseppe Fici e Sergio Barbiera, hanno impugnato la sentenza del collegio della prima sezione della Corte d’Appello di Palermo, presieduto da Adriana Piras, consiglieri a latere Massimo Corleo e la relatrice Maria Elena Gamberini, per motivi di diritto. I pg hanno contestato “la logicità e la conformità alla legge della sentenza che”, nel processo in abbreviato, aveva scagionato l’ex esponente democristiano dall’accusa di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato, confermando l’assoluzione dei giudici di primo grado. Nelle motivazioni della sentenza di assoluzione i giudici di secondo grado avevano scritto che “non è stato affatto dimostrato che Mannino fosse finito anch’egli nel mirino della mafia a causa di sue presunte ed indimostrate promesse non mantenute (addirittura, quella del buon esito del primo Maxiprocesso) ma, anzi, al contrario, è piuttosto emerso dalla sua sentenza assolutoria che costui fosse una vittima designata della mafia, proprio a causa della sua specifica azione di contrasto a Cosa nostra quale esponente del governo del 1991, in cui era rientrato dal mese di febbraio di quello stesso anno”. “Insomma, indimostrato il dato fattuale, la tesi della procura con riguardo alla posizione del Mannino (in ordine all’input della trattativa ed allo specifico segmento della veicolazione da parte sua della minaccia allo Stato attraverso il Di Maggio) si appalesa non solo infondata, ma anche totalmente illogica ed incongruente con la ricostruzione complessiva dei fatti, con la quale non combacia da qualunque punto di vista la si voglia guardare”, avevano scritto ancora i giudici d’appello. Mannino era stato già assolto in primo grado nel novembre del 2015 dal gup Marina Petruzzella. Sentenza confermata in appello nel luglio 2019.

“Dunque, neppure il contesto in cui la Pubblica Accusa ha inserito la condotta, indimostrata, del Mannino, si attaglia – avevano detto i giudici guidati da Adirana Piras – alla configurazione dell’illecito penale per come contestatogli, prestandosi, come ogni macro evento storico, a chiavi di lettura opinabili, certamente inidonee ad offrire interpretazioni inequivocabili che garantiscano quella certezza, al di la di ogni ragionevole dubbio, richiesta invece dal giudizio penale di responsabilità personale”. Il 4 dicembre scorso la Procura generale della Cassazione ha chiesto di dichiarare “inammissibile” il ricorso della Procura generale di Palermo contro l’assoluzione dell’ex ministro Calogero Mannino. E confermare l’assoluzione. Arrivata oggi. (di Elvira Terranova-AdnKronos)

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